La storia dell’insegnamento e della ricerca nel campo del cinema, della fotografia e della televisione nell’università italiana corrisponde all’evoluzione di un settore disciplinare che ha progressivamente conquistato una legittimazione scientifica e significativi spazi nei programmi didattici, in costante dialogo con le istituzioni e con il mondo delle professioni. In questa vicenda ha avuto e continua ad avere un ruolo decisivo la Consulta Universitaria del Cinema, l’associazione che dal 1990 riunisce le studiose e gli studiosi di media audiovisivi e ne promuove le attività scientifiche e culturali. Questo volume celebra il trentennale della fondazione della CUC ripercorrendone le origini e gli sviluppi, fotografando la situazione attuale e tracciando alcune linee prospettiche per il futuro. Ne emerge un viaggio appassionato nella storia di una comunità in costante crescita, raccontato da una molteplicità di voci e testimonianze capaci di parlare a chiunque ami il cinema e soprattutto a chi sogna di partecipare all’avventura dello studio delle immagini in movimento.
Giulia Carluccio è Professoressa ordinaria al DAMS di Torino, dove insegna Storia del cinema nordamericano e dirige il Centro Ricerche sull’Attore e il Divismo (CRAD). Ha pubblicato saggi e monografie sul cinema muto italiano e statunitense, sul cinema americano classico e contemporaneo, su diversi casi di attori e divi. Tra le pubblicazioni più recenti, Il cinema americano contemporaneo, con Giaime Alonge (Laterza 2015), e Il Cinema. Percorsi storici e questioni teoriche, con Luca Malavasi e Federica Villa (Carocci 2015).
Adriano D’Aloia è Professore associato all’Università degli Studi di Bergamo, dove insegna Cinema e arti visive, Fondamenti di storia del cinema, Teoria e tecnica del linguaggio cinematografico e Videonarrazioni. Tra le sue pubblicazioni più recenti La vertigine e il volo. L’esperienza filmica tra estetica e neuroscienze cognitive (2013) e Neurofilmology of the Moving Image (2021).
Più o meno alla fine di ogni decennio il cinema è stato dichiarato morto, da quando è nato in quel famoso 28 dicembre 1895. Gli stessi fratelli Lumière, che gli diedero i natali, dissero che si trattava di «una invenzione senza futuro» e lo affermarono pensando alla vertiginosa evoluzione tecnologica di cui si erano fatti essi stessi interpreti in quanto industriali, produttori di pellicole e macchine da ripresa. Così il buon vecchio film, pur essendo nato per il grande schermo, ma essendosi adattato meravigliosamente al piccolo fin dalla diffusione dei primi apparecchi televisivi (parliamo degli anni Cinquanta del secolo scorso), pare stia facendo la parte del leone sulle innovative piattaforme digitali. Durante il blocco dovuto alla pandemia e anche dopo, i film hanno superato le serie tv. Cos’è quindi il cinema oggi? È arrivato il momento di chiederselo fino in fondo.
Daniele Vicari è uno dei registi più apprezzati e premiati del cinema italiano. Tra i suoi film: Velocità massima (2002), Mostra del Cinema di Venezia e David di Donatello migliore opera prima; L’orizzonte degli eventi (2005), Semaine de la Critique di Cannes; Il mio paese (2006), David di Donatello miglior documentario; Il passato è una terra straniera (2008), vincitore del Miami International Film Festival; Diaz – Don’t Clean Up This Blood (2012), vincitore del Premio del pubblico del Festival di Berlino, di quattro David di Donatello e tre Nastri d’Argento; La nave dolce (2012), Premio Pasinetti; Sole Cuore Amore (2016), Premio Giuseppe De Santis; Prima che la notte (2018); Il giorno e la notte (2021); Orlando (2022). È tra i fondatori della Scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volonté di cui è direttore artistico. Per Einaudi ha pubblicato Emanuele nella battaglia (2019) e Il cinema, l’immortale (2022).
Le singole edizioni della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia succedutesi nei novant’anni intercorsi dalla sua nascita, rivivono nella loro varietà e novità in un’accurata e affascinante cronistoria. Gian Piero Brunetta, il decano della storia e critica cinematografica, punto di riferimento imprescindibile per gli studi sulla storia del cinema italiano, racconta l’avvicendamento «di condottieri e capitani coraggiosi, di combattenti, esploratori, scopritori, traghettatori, negoziatori, funzionari rispettosi, grands commis de l’État, direttori pontefici, direttori ombra e di passaggio, nonché di giurie competenti, equilibrate, coraggiose, incompetenti, imprevedibili, distratte, conformiste, eterodirette e ammaestrate». Intrecciando e annodando più fili, in modo da includere il ruolo dei presidenti, l’operato e le strategie dei direttori e le caratteristiche salienti delle diverse edizioni, l’autore disegna un arazzo variopinto e descrive con i «toni alti dell’epopea» l’alternanza di gusti, mode, polemiche e ideologie che sono lo specchio morale ed estetico di un secolo di vita italiana. Dando costante risalto all’interazione fra critica, pubblico e politica – e con un occhio di riguardo ai registi e ai film che più di altri le hanno dato lustro – la Mostra diventa l’occasione per raccontare un secolo di storia del cinema e di civiltà della visione.
Gian Piero Brunetta è professore emerito di Storia e Critica del Cinema dell’Università di Padova. Rappresenta il punto di riferimento per gli studi sulla storia del cinema italiano, dal momento che ha sviluppato un metodo di ricerca basato sulla molteplicità degli approcci di indagine, caratterizzato da una monumentale opera di ricostruzione sia della produzione cinematografica italiana, che delle forme di fruizione e del ruolo simbolico e culturale del cinema. Ha collaborato con Ettore Scola per la realizzazione del film Splendor (1988), oltre ad aver partecipato alla realizzazione di alcuni programmi televisivi per la RAI. Ha ricevuto diversi premi, tra cui il Premio Antonio Feltrinelli dell’Accademia Nazionale dei Lincei (2017) e il Premio Aqui Storia nella sezione storico-divulgativa (2020).
Alla domanda “Che cos’è uno spettatore?” si potrebbe rispondere in tanti modi. Non solo perché ciascuno ha in mente una propria idea di spettatore, basata il più delle volte su di sé e sui propri comportamenti, ma anche perché nel corso del tempo guardare un film ha assunto significati culturali e sociali molto diversi tra loro. Basti pensare al fatto che, fino a metà del Novecento, per vedere un lungometraggio lo spettatore poteva solamente andare in una sala cinematografica, mentre oggi meno del cinque per cento dei film prodotti ogni anno viene visto collettivamente su grande schermo. Un tempo si poteva solo stare seduti in una poltrona a orari stabiliti da altri, oggi possiamo vedere film in piedi o sdraiati o mentre pranziamo, a orari stabiliti da noi. Il volume attraversa la storia degli spettatori partendo da esperienze cinematografiche personali e giungendo a riflessioni di valore universale sul guardare i film tra forme sociali e prassi culturali.
Roy Menarini è professore ordinario all’Università di Bologna, dove insegna Cinema e Industria Culturale. Ha scritto numerosi volumi sul cinema contemporaneo, diverse monografie di grandi autori, partecipato a convegni, conferenze sulla critica cinematografica e sulla cinefilia. Ha pubblicato saggi nelle principali riviste nazionali ed è senior editor del semestrale “Cinergie”. Collabora a numerosi progetti di formazione ed educazione all’immagine audiovisiva.